I casalesi agli ordini dei latitanti dimenticati: affari e violenze ora puntano a Nord
Fonte: La Stampa del 30/04/2009
Roberto Saviano è appena atterrato a Fiumicino, reduce da un lungo giro che, per ultimo, lo ha portato in Spagna. E’ un modo, questo movimento continuo, per rendere meno pesante l’assedio che lo scrittore subisce dai malacarne che vorrebbero cancellarlo dalla propria terra. Appare sempre alquanto sorpreso, Saviano, dall’accoglienza che gli viene riservata all’estero, ma preferisce glissare su alcune notizie che riguardano proprio i suoi ultimi contatti col governo spagnolo. Non conferma, ma è trapelato che quel ministro dell’Interno gli ha offerto il posto di consulente tecnico per i problemi legati alla presenza mafiosa nei paesi costieri della Spagna. E’ un fatto che ad Alicante, in Andalusia, hanno svernato e svernano mafiosi e camorristi e che i cartelli messicani della coca stanno per soppiantare i colombiani con alleanze italiche. Ma Saviano nega che possa esistere per lui un qualsiasi ruolo tecnico: «Non ne sarei capace. Il mio mestiere è scrivere». E rimane vago sull’indiscrezione circa un incontro coi capi dei vari dipartimenti della polizia spagnola per uno scambio di idee. Dice semplicemente di essere colpito dall’attenzione con cui i governi europei cercano argini ai pericoli del contagio mafioso.
Saviano, ha sentito della cattura di Michele Bidognetti?
«E’ un buon colpo la cattura di un rappresentante dell’ala stragista dei casalesi, ma non comanda lui a Caserta. Diciamo che non è il rappresentante più emblematico di quel miscuglio melmoso di borghesia e crimine».
Chi comanda a Gomorra?
«Comandano i latitanti e precisamente Michele Zagaria, detto “capastorta”, e Antonino Iovine “o ninno”. Personaggi pericolosissimi per la capacità criminale ma anche per il loro potere imprenditoriale e per l’appeal che esercitano sulla buona borghesia. Qualche esempio? Il fratello di Zagaria, Pasquale detto Bin Laden, è stato il primo mafioso a sfondare al Nord, come dimostrano una serie di inchieste su appalti e lavori eseguiti a Parma. Si tratta di gente capace delle cose più turpi ma anche di “battezzare” le proprie imprese con nomi tipo “Stendhal costruzioni”».
Lei ha avuto contatti diretti con lorsignori?
«Con i loro picciotti. Al processo Spartacus lanciavano sguardi infiammati dalle gabbie, mi schernivano e poi mi hanno detto:”Salutaci tanto don Peppino”, riferendosi a don Peppino Diana ucciso dalla camorra, e dunque annunciando che avrei fatto la sua stessa fine».
Stanno in carcere?
«C’è un continuo ricambio, entrano ed escono. Il problema è che i processi non sempre riescono a depotenziare i clan. Quelli condannati e pene minori rientrano alla grande, i latitanti sembrano essere dimenticati: il risultato è che la cosiddetta società civile li continua a temere o preferisce fingere di non vedere e non sapere. Anche fuori territorio: Iovine, per esempio, è stato sotto osservazione per affari a Roma, credo di ricordare un suo interessamente per il locale notturno “Gilda”. E ricordo i subappalti di Zagaria per la costruzione del Centro commerciale di Marcianise».
Gomorra, dunque, sta ancora tutta lì?
«Diciamo che non si capisce bene ciò che sta accadendo. C’è una situazione fluida e pericolosa. Non è stato ancora interrotto il filo che attraversa la rete di affari, anche dopo la cattura di Giuseppe Setola e di Francesco Bidognetti. Proprio lì sono venuti fuori i rapporti tra la borghesia produttiva e la macelleria mafiosa. Gli appalti gestiti da un fratello di Setola nell’intera provincia di Caserta, intrecci sotterranei come il ruolo di primo piano di Riccardo Iovine, fratello di Carmine, nella gestione dell’ospedale di Caserta che è al centro dell’inchiesta che ha provocato l’arresto della signora Mastella e, indirettamente, la caduta del governo Prodi. Insomma non tutto sembra chiaro e definito. E non arrivano schiarite da notizie come la scelta del presidente della Provincia, Sandro De Franciscis, di dedicarsi al Bureau Medical di Lourdes, o come il precipitoso ritiro del sindaco di Castelvorturno. Sono sintomi della difficoltà di ripristinare la legalità in questi territori».
Sembra impressionato dalla innaturale convivenza fra mafia e società civile.
«Mi chiedo cosa possa legare i due mondi. Ci può essere rapporto con chi, come i Bidognetti, hanno avvelenato la terra con tonnellate di rifiuti tossici? Con chi fa violentare e uccidere una ragazza, fiaccandola con iniezioni di latte sui muscoli, perchè decide di rimanere fedele al suo ragazzo, uccidendo poi anche lui che la cercava? Con chi fa assassinare il medico curante della madre, colpevole di non essere riuscito a strapparla al cancro? Eppure c’è chi, da direttore di un quotidiano, parlo della Gazzetta di Caserta, pubblica tranquillamente una lettera del camorrista “Sandokan”, facendola precedere dal distico “La ringrazio per la stima”. Gli unici punti di riferimento morali ed etici in Campania sembrano rimasti il cardinal Sepe a Napoli e mons. Nogaro a Caserta. Il resto è proprio buio».
Fonte: La Stampa del 30/04/2009
Roberto Saviano è appena atterrato a Fiumicino, reduce da un lungo giro che, per ultimo, lo ha portato in Spagna. E’ un modo, questo movimento continuo, per rendere meno pesante l’assedio che lo scrittore subisce dai malacarne che vorrebbero cancellarlo dalla propria terra. Appare sempre alquanto sorpreso, Saviano, dall’accoglienza che gli viene riservata all’estero, ma preferisce glissare su alcune notizie che riguardano proprio i suoi ultimi contatti col governo spagnolo. Non conferma, ma è trapelato che quel ministro dell’Interno gli ha offerto il posto di consulente tecnico per i problemi legati alla presenza mafiosa nei paesi costieri della Spagna. E’ un fatto che ad Alicante, in Andalusia, hanno svernato e svernano mafiosi e camorristi e che i cartelli messicani della coca stanno per soppiantare i colombiani con alleanze italiche. Ma Saviano nega che possa esistere per lui un qualsiasi ruolo tecnico: «Non ne sarei capace. Il mio mestiere è scrivere». E rimane vago sull’indiscrezione circa un incontro coi capi dei vari dipartimenti della polizia spagnola per uno scambio di idee. Dice semplicemente di essere colpito dall’attenzione con cui i governi europei cercano argini ai pericoli del contagio mafioso.
Saviano, ha sentito della cattura di Michele Bidognetti?
«E’ un buon colpo la cattura di un rappresentante dell’ala stragista dei casalesi, ma non comanda lui a Caserta. Diciamo che non è il rappresentante più emblematico di quel miscuglio melmoso di borghesia e crimine».
Chi comanda a Gomorra?
«Comandano i latitanti e precisamente Michele Zagaria, detto “capastorta”, e Antonino Iovine “o ninno”. Personaggi pericolosissimi per la capacità criminale ma anche per il loro potere imprenditoriale e per l’appeal che esercitano sulla buona borghesia. Qualche esempio? Il fratello di Zagaria, Pasquale detto Bin Laden, è stato il primo mafioso a sfondare al Nord, come dimostrano una serie di inchieste su appalti e lavori eseguiti a Parma. Si tratta di gente capace delle cose più turpi ma anche di “battezzare” le proprie imprese con nomi tipo “Stendhal costruzioni”».
Lei ha avuto contatti diretti con lorsignori?
«Con i loro picciotti. Al processo Spartacus lanciavano sguardi infiammati dalle gabbie, mi schernivano e poi mi hanno detto:”Salutaci tanto don Peppino”, riferendosi a don Peppino Diana ucciso dalla camorra, e dunque annunciando che avrei fatto la sua stessa fine».
Stanno in carcere?
«C’è un continuo ricambio, entrano ed escono. Il problema è che i processi non sempre riescono a depotenziare i clan. Quelli condannati e pene minori rientrano alla grande, i latitanti sembrano essere dimenticati: il risultato è che la cosiddetta società civile li continua a temere o preferisce fingere di non vedere e non sapere. Anche fuori territorio: Iovine, per esempio, è stato sotto osservazione per affari a Roma, credo di ricordare un suo interessamente per il locale notturno “Gilda”. E ricordo i subappalti di Zagaria per la costruzione del Centro commerciale di Marcianise».
Gomorra, dunque, sta ancora tutta lì?
«Diciamo che non si capisce bene ciò che sta accadendo. C’è una situazione fluida e pericolosa. Non è stato ancora interrotto il filo che attraversa la rete di affari, anche dopo la cattura di Giuseppe Setola e di Francesco Bidognetti. Proprio lì sono venuti fuori i rapporti tra la borghesia produttiva e la macelleria mafiosa. Gli appalti gestiti da un fratello di Setola nell’intera provincia di Caserta, intrecci sotterranei come il ruolo di primo piano di Riccardo Iovine, fratello di Carmine, nella gestione dell’ospedale di Caserta che è al centro dell’inchiesta che ha provocato l’arresto della signora Mastella e, indirettamente, la caduta del governo Prodi. Insomma non tutto sembra chiaro e definito. E non arrivano schiarite da notizie come la scelta del presidente della Provincia, Sandro De Franciscis, di dedicarsi al Bureau Medical di Lourdes, o come il precipitoso ritiro del sindaco di Castelvorturno. Sono sintomi della difficoltà di ripristinare la legalità in questi territori».
Sembra impressionato dalla innaturale convivenza fra mafia e società civile.
«Mi chiedo cosa possa legare i due mondi. Ci può essere rapporto con chi, come i Bidognetti, hanno avvelenato la terra con tonnellate di rifiuti tossici? Con chi fa violentare e uccidere una ragazza, fiaccandola con iniezioni di latte sui muscoli, perchè decide di rimanere fedele al suo ragazzo, uccidendo poi anche lui che la cercava? Con chi fa assassinare il medico curante della madre, colpevole di non essere riuscito a strapparla al cancro? Eppure c’è chi, da direttore di un quotidiano, parlo della Gazzetta di Caserta, pubblica tranquillamente una lettera del camorrista “Sandokan”, facendola precedere dal distico “La ringrazio per la stima”. Gli unici punti di riferimento morali ed etici in Campania sembrano rimasti il cardinal Sepe a Napoli e mons. Nogaro a Caserta. Il resto è proprio buio».
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