Riportiamo la relazione completa di Alessandro Gatto (Responsabile WWF) al convegno del 5 dicembre "I prodotti tipici di terra di lavoro" tenutosi presso l'istituto alberghiero di Aversa.
Premessa:
Biodiversità è il termine usato per indicare la varietà delle forme di vita, siano esse animali, vegetali, funghi o microrganismi (virus e batteri), presenti in tutti gli ecosistemi che troviamo sul nostro pianeta.
La biodiversità deve essere protetta sia per definizione e sia per le molteplici convenzioni internazionali che esistono in materia, in quanto grazie alla sua salvaguardia si riesce a proteggere, in definitiva, la specie che ci sta più a cuore: l’essere umano. Quindi la protezione della moltitudine di forme di vita (biodiversità appunto) riguarda direttamente la tutela del genere umano.
Inquadramento storico-ambientale:
L’agro aversano e l’area del basso corso del fiume Volturno costituiscono un unicum ecologico-geologico-ambientale. Ricordiamo che, prima del massiccio sfruttamento antropico, il territorio del medio-basso corso dei fiumi Clanio (antico fiume che fu canalizzato una decina di chilometri più a nord, intorno alla prima metà del 1600, negli attuali Regi Lagni) e Volturno era inserito in un sistema di paludi ed aree umide che prendevano il nome di Maremma Liternina. In pratica il mare, in epoche geologiche passate (Pleistocene: da 3 a 1,8 milioni di anni fa), si spingeva fino al territorio dove attualmente c'è la città di Capua, poi si è ridotto, col passare dei millenni, in conseguenza del sollevamento del massiccio flegreo e a causa degli apporti solidi trascinati dalle acque superficiali di scorrimento. Questo è il principale motivo dell'alta concentrazione di umidità che si registra nei suoli e nell'ambiente di tutta la piana del Volturno ed in particolar modo dell'agro aversano. La flora e la fauna tipica delle terre dell'agro aversano oggi sono quasi completamente scomparse, a causa della forte antropizzazione della zona. E' il caso di ricordare che in tutto il territorio denominato anticamente Maremma Liternina esistevano boschi misti di alberi che preferiscono vivere in ambienti umidi. Nelle paludi e negli acquitrini si sviluppava la tipica vegetazione idrofila ed igrofila costituita prevalentemente da piante acquatiche, giunchi e cannucce di palude ove trovava riparo una ricca biocenosi con al vertice della piramide alimentare varie specie di uccelli acquatici. Nelle zone meno umide vi erano pioppi neri e bianchi, salici bianchi, olmi, farnie e così via. Poi, laddove le caratteristiche di umidità divenivano via via più moderate, si potevano trovare lecci, pini e macchia mediterranea.
Situazione attuale:
Attualmente siamo di fronte al drammatico fenomeno del degrado dell’ambiente naturale e dell’ambiente agricolo dell’area aversana (l’agro aversano, è cosa nota a tutti, è estremamente inquinato, già da una ventina d’anni, da rifiuti urbani e speciali, sia non pericolosi, sia pericolosi) e della scomparsa di centinaia di specie vegetali ed animali. A tal proposito il WWF si pone come obiettivi, da un lato la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle problematiche agricole-ambientali, dall’altro l’avvio di progetti di bonifiche del territorio, anche attraverso l’adozione di tecniche agricole dedicate (ad esempio le colture “no food”, che possono avviare al contempo uno sviluppo agroeconomico ed una parziale bonifica grazie alle proprietà fitoestrattive degli inquinanti da parte di alcune specie vegetali) ed attraverso colture che prevedono l’abbandono o almeno una sostanziale diminuzione dell’uso di fitofarmaci di sintesi (agricoltura biologica e/o agricoltura a lotta integrata). L’azione di sensibilizzazione nei confronti degli operatori del comparto agricolo deve portare, innanzitutto, alla riscoperta dell’antico legame alla terra, privilegiando la coltura di più specie, con il progressivo abbandono delle pratiche monocolturali. Per quanto riguarda gli allevamenti di specie animali, vanno riscoperte e valorizzate le razze domestiche autoctone. Per ripristinare quell’antica armonia dell’uomo con la natura dell’agro aversano è necessario il recupero del paesaggio agricolo, cosiddetto “PAESAGGIO RURALE DELL’AGRO AVERSANO”.
Il paesaggio rurale dell’agro aversano può essere sintetizzato come un unico, grande contenitore dove natura, agricoltura, storia, cultura, tradizioni ed architettura si fondono in modo tale da ripristinare l’originario equilibrio naturale, e costituire esso stesso il valore aggiunto delle piccole economie locali.
Proposte di tutela:
Sebbene ci siano tantissime specie vegetali ed animali da trattare, in questa sede ci limiteremo, a titolo di esempio, ad approfondire la vite dell’asprinio di Aversa e del suo agro e la Bufala per la mozzarella, anch’essa tipica aversana e della terra cosiddetta “Maremma Liternina” o dei “Mazzoni”.
1. L’asprinio di Aversa: è un particolare tipo di vino che si ottiene da una vite che forma particolari vigneti, caratteristico delle terre dell’agro aversano. Certamente è una vite ed una pratica colturale di origini antiche, che alcuni autori dicono di essere di provenienza della Magna Grecia ed altri di provenienza della Francia al periodo di Carlo D’Angiò. Al momento non se ne conosce l’esatta provenienza. Questo vitigno fino ad oggi ha conservato, nei pochi esemplari sopravvissuti, tutte le caratteristiche di un tempo e presenta una peculiarità unica, legata sia al caratteristico sapore acre della sua uva, che alla forma e dimensione dei “FILARI” di viti alte fino a dieci metri. Le viti non venivano disposte su pali di legno o di cemento come si usa per tutti gli altri tipi di vigneti, ma si utilizzavano, prevalentemente, dei pioppi neri adulti disposti in fila (filari) e dove venivano tirati dei fili di ferro, tra un albero ed un altro adiacente, ove vi si appoggiava la vite. Il momento più interessante di questa coltura era quello della vendemmia. Verso la metà del mese di settembre i velignaturi (vendemmiatori) arrivavano nei campi con scale di legno altissime, trasportate a spalla in perfetto equilibrio verticale e cominciavano la raccolta dell’uva dalle estremità più alte delle viti. La vinificazione veniva eseguita in ambienti sotterranei, noti nell’agro aversano col nome di “GROTTE”, dove, a chiusura della vendemmia, il vino veniva lasciato a fermentare.
2. La bufala (o meglio il bufalo), la sua mozzarella e gli altri prodotti: Il bufalo, in Europa ed in Italia non è chiaro quando sia arrivato e/o se sia sempre esistito. Si sviluppano varie teorie, tra loro diverse, circa l’origine di questa specie animale in Italia ed in particolarmodo in Campania e nell’agro aversano. Sicuramente la presenza di paludi ed altre zone con acque stagnanti hanno favorito l’insediamento di questa specie che trova giovamento dalla presenza dell’acqua. Nella piana del basso Volturno e del Sele, il bufalo si diffonde con facilità e viene man mano allevato nelle cosiddette “PAGLIARE o PROCOI”. Tali allevamenti si sono protratti fino ai giorni nostri, rappresentando uno degli allevamenti più caratteristici ed originali. Ovviamente sono le bufale (le femmine) ad avere avuto sempre più attenzione vista l’importanza produttiva solo di esse. I maschi prevalentemente vengono eliminati perché non produttivi; ne vengono “salvati” solo alcuni esemplari da utilizzare per la riproduzione. Le bufale venivano comunque munte in presenza del figlio per favorire la “discesa” del latte e sicuramente questo è il metodo naturale più auspicabile per il prelievo del latte. Il latte bufalino ha sapore dolce, colore bianco opaco. Il pH oscilla tra 6,6 e 6,8. Il grasso è tra 6 ed il 9 %. Da questo latte si produce un formaggio fresco famosissimo in tutto il mondo denominato “MOZZARELLA”, nome legato alla particolare tipologia di lavorazione che comporta la mozzatura, appunto, della pasta filata del formaggio fresco. In pratica la pasta, dopo la cagliatura del latte, viene sottoposta ad un processo di filatura in acqua calda e, successivamente, modellata nelle forme tradizionali rotondeggianti.
Biodiversità è il termine usato per indicare la varietà delle forme di vita, siano esse animali, vegetali, funghi o microrganismi (virus e batteri), presenti in tutti gli ecosistemi che troviamo sul nostro pianeta.
La biodiversità deve essere protetta sia per definizione e sia per le molteplici convenzioni internazionali che esistono in materia, in quanto grazie alla sua salvaguardia si riesce a proteggere, in definitiva, la specie che ci sta più a cuore: l’essere umano. Quindi la protezione della moltitudine di forme di vita (biodiversità appunto) riguarda direttamente la tutela del genere umano.
Inquadramento storico-ambientale:
L’agro aversano e l’area del basso corso del fiume Volturno costituiscono un unicum ecologico-geologico-ambientale. Ricordiamo che, prima del massiccio sfruttamento antropico, il territorio del medio-basso corso dei fiumi Clanio (antico fiume che fu canalizzato una decina di chilometri più a nord, intorno alla prima metà del 1600, negli attuali Regi Lagni) e Volturno era inserito in un sistema di paludi ed aree umide che prendevano il nome di Maremma Liternina. In pratica il mare, in epoche geologiche passate (Pleistocene: da 3 a 1,8 milioni di anni fa), si spingeva fino al territorio dove attualmente c'è la città di Capua, poi si è ridotto, col passare dei millenni, in conseguenza del sollevamento del massiccio flegreo e a causa degli apporti solidi trascinati dalle acque superficiali di scorrimento. Questo è il principale motivo dell'alta concentrazione di umidità che si registra nei suoli e nell'ambiente di tutta la piana del Volturno ed in particolar modo dell'agro aversano. La flora e la fauna tipica delle terre dell'agro aversano oggi sono quasi completamente scomparse, a causa della forte antropizzazione della zona. E' il caso di ricordare che in tutto il territorio denominato anticamente Maremma Liternina esistevano boschi misti di alberi che preferiscono vivere in ambienti umidi. Nelle paludi e negli acquitrini si sviluppava la tipica vegetazione idrofila ed igrofila costituita prevalentemente da piante acquatiche, giunchi e cannucce di palude ove trovava riparo una ricca biocenosi con al vertice della piramide alimentare varie specie di uccelli acquatici. Nelle zone meno umide vi erano pioppi neri e bianchi, salici bianchi, olmi, farnie e così via. Poi, laddove le caratteristiche di umidità divenivano via via più moderate, si potevano trovare lecci, pini e macchia mediterranea.
Situazione attuale:
Attualmente siamo di fronte al drammatico fenomeno del degrado dell’ambiente naturale e dell’ambiente agricolo dell’area aversana (l’agro aversano, è cosa nota a tutti, è estremamente inquinato, già da una ventina d’anni, da rifiuti urbani e speciali, sia non pericolosi, sia pericolosi) e della scomparsa di centinaia di specie vegetali ed animali. A tal proposito il WWF si pone come obiettivi, da un lato la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle problematiche agricole-ambientali, dall’altro l’avvio di progetti di bonifiche del territorio, anche attraverso l’adozione di tecniche agricole dedicate (ad esempio le colture “no food”, che possono avviare al contempo uno sviluppo agroeconomico ed una parziale bonifica grazie alle proprietà fitoestrattive degli inquinanti da parte di alcune specie vegetali) ed attraverso colture che prevedono l’abbandono o almeno una sostanziale diminuzione dell’uso di fitofarmaci di sintesi (agricoltura biologica e/o agricoltura a lotta integrata). L’azione di sensibilizzazione nei confronti degli operatori del comparto agricolo deve portare, innanzitutto, alla riscoperta dell’antico legame alla terra, privilegiando la coltura di più specie, con il progressivo abbandono delle pratiche monocolturali. Per quanto riguarda gli allevamenti di specie animali, vanno riscoperte e valorizzate le razze domestiche autoctone. Per ripristinare quell’antica armonia dell’uomo con la natura dell’agro aversano è necessario il recupero del paesaggio agricolo, cosiddetto “PAESAGGIO RURALE DELL’AGRO AVERSANO”.
Il paesaggio rurale dell’agro aversano può essere sintetizzato come un unico, grande contenitore dove natura, agricoltura, storia, cultura, tradizioni ed architettura si fondono in modo tale da ripristinare l’originario equilibrio naturale, e costituire esso stesso il valore aggiunto delle piccole economie locali.
Proposte di tutela:
Sebbene ci siano tantissime specie vegetali ed animali da trattare, in questa sede ci limiteremo, a titolo di esempio, ad approfondire la vite dell’asprinio di Aversa e del suo agro e la Bufala per la mozzarella, anch’essa tipica aversana e della terra cosiddetta “Maremma Liternina” o dei “Mazzoni”.
1. L’asprinio di Aversa: è un particolare tipo di vino che si ottiene da una vite che forma particolari vigneti, caratteristico delle terre dell’agro aversano. Certamente è una vite ed una pratica colturale di origini antiche, che alcuni autori dicono di essere di provenienza della Magna Grecia ed altri di provenienza della Francia al periodo di Carlo D’Angiò. Al momento non se ne conosce l’esatta provenienza. Questo vitigno fino ad oggi ha conservato, nei pochi esemplari sopravvissuti, tutte le caratteristiche di un tempo e presenta una peculiarità unica, legata sia al caratteristico sapore acre della sua uva, che alla forma e dimensione dei “FILARI” di viti alte fino a dieci metri. Le viti non venivano disposte su pali di legno o di cemento come si usa per tutti gli altri tipi di vigneti, ma si utilizzavano, prevalentemente, dei pioppi neri adulti disposti in fila (filari) e dove venivano tirati dei fili di ferro, tra un albero ed un altro adiacente, ove vi si appoggiava la vite. Il momento più interessante di questa coltura era quello della vendemmia. Verso la metà del mese di settembre i velignaturi (vendemmiatori) arrivavano nei campi con scale di legno altissime, trasportate a spalla in perfetto equilibrio verticale e cominciavano la raccolta dell’uva dalle estremità più alte delle viti. La vinificazione veniva eseguita in ambienti sotterranei, noti nell’agro aversano col nome di “GROTTE”, dove, a chiusura della vendemmia, il vino veniva lasciato a fermentare.
2. La bufala (o meglio il bufalo), la sua mozzarella e gli altri prodotti: Il bufalo, in Europa ed in Italia non è chiaro quando sia arrivato e/o se sia sempre esistito. Si sviluppano varie teorie, tra loro diverse, circa l’origine di questa specie animale in Italia ed in particolarmodo in Campania e nell’agro aversano. Sicuramente la presenza di paludi ed altre zone con acque stagnanti hanno favorito l’insediamento di questa specie che trova giovamento dalla presenza dell’acqua. Nella piana del basso Volturno e del Sele, il bufalo si diffonde con facilità e viene man mano allevato nelle cosiddette “PAGLIARE o PROCOI”. Tali allevamenti si sono protratti fino ai giorni nostri, rappresentando uno degli allevamenti più caratteristici ed originali. Ovviamente sono le bufale (le femmine) ad avere avuto sempre più attenzione vista l’importanza produttiva solo di esse. I maschi prevalentemente vengono eliminati perché non produttivi; ne vengono “salvati” solo alcuni esemplari da utilizzare per la riproduzione. Le bufale venivano comunque munte in presenza del figlio per favorire la “discesa” del latte e sicuramente questo è il metodo naturale più auspicabile per il prelievo del latte. Il latte bufalino ha sapore dolce, colore bianco opaco. Il pH oscilla tra 6,6 e 6,8. Il grasso è tra 6 ed il 9 %. Da questo latte si produce un formaggio fresco famosissimo in tutto il mondo denominato “MOZZARELLA”, nome legato alla particolare tipologia di lavorazione che comporta la mozzatura, appunto, della pasta filata del formaggio fresco. In pratica la pasta, dopo la cagliatura del latte, viene sottoposta ad un processo di filatura in acqua calda e, successivamente, modellata nelle forme tradizionali rotondeggianti.
Nessun commento:
Posta un commento