16 ott 2009

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Il diritto e la giustizia come un fiume in piena nella nostra storia

Documento di denuncia, impegno e lotta nonviolenta alle luce delle Beatitudini contro le mafie e le illegalità a partire dalle Chiese a cura di Leandro Limoccia

La vera questione meridionale, che non è mai entrata per davvero nell’agenda dei governi, concerne il dato strutturale delle mafie.
Suddette organizzazioni criminali, con la loro capacità pervasiva, ed i collegamenti con il variegato mondo delle professioni e dei colletti bianchi, che rappresentano le “teste di ponte” per operazioni finanziarie apparentemente lecite, non hanno mai rappresentato un’evidenza e, di conseguenza, un’emergenza. Gli apparati dello Stato preposti alla tutela della sicurezza interna, nel contempo, non hanno sempre svolto con adamantina purezza i propri compiti: ancora non vi è, difatti, chiarezza sulle stragi della storia del nostro Paese, come gli attentati ai danni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e sulle paventate trattative “cosa nostra” e settori dello Stato; la reale ricostruzione di quanto accaduto in quegli anni è un postulato di una democrazia che voglia dirsi compiuta.
Le mafie, nel frattempo, si sono trasformate ed evolute; la loro presenza non è più solo nei quartieri, ma nei centri finanziari e culturali; esse non si manifestano più solo con delitti di sangue e classiche attività delinquenziali di natura economica; le cosche svolgono anche attività apparentemente lecite con mezzi e capitali illeciti, fatturando centinaia di milioni di euro, e operando con successo sui mercati internazionali. Di fronte ad un simile dato criminologico non sembrano sufficienti solo arresti eccellenti (anche se chiedo al Ministro Maroni perché non riusciamo ancora ad arrestare i pericolosi latitanti Antonio Iovine e Michele Zagaria).
La lotta alle mafie oggi deve passare attraverso una strategia economica e culturale contro i mafiosi della finanza.
E’ una lotta più difficile da combattere perché si tratta di attrezzare un’egemonia culturale della legalità, una strategia economica nei processi finanziari e culturali.
Le mafie hanno scelto di diventare “società civile diffusa”; o si riesce a governare ed elidere il fenomeno in atto o diventa tutto più difficile.
In questo quadro a Napoli, come in Campania, dobbiamo saper dire che il problema non è solo la camorra: spezzare il cerchio della mafiosità che con l’illegalità diffusa e l’alegalità, sono il terreno di coltura dell’evoluzione criminale, che baratta i diritti con i favori, produce sfiducia, impotenza, delega, complicità negative, rassegnazione, passività, indifferenza, egoismi, ma anche politica come falsa coscienza, protezioni clientelari, appalti truccati.
Se l’illegalità, la corruzione e le mafie diventano il sistema regolatore dei rapporti sociali, se registriamo più “spazio criminale”, occupato dalle nuove mafie, operanti in Italia e in Campania, qual è la domanda fondamentale?
L’affanno della ricerca, l’interrogativo nelle “quattro C”: continuità, coerenza, concretezza, cammino comune, è quale politica, quali politiche per combattere le mafie, l’illegalità, la corruzione?
E’ il tempo di una politica capace di recuperare consenso sociale, in cui lo Stato deve intervenire non solo con la forza, l’azione giudiziaria, ma con il consenso.
Occorre indicare risorse, strumenti, progetti, cooperazione, per lanciare un Piano di prevenzione locale, nazionale ed europeo per la Comunità libera dalle mafie, dall’illegalità, dalle violenze, dalla corruzione, e dalla mafiosità.
Un piano sociale che si riconosce nei metodi e nei contenuti della democrazia partecipata, dal consenso contrattato a un programma condiviso con i cittadini, gli immigrati e le diverse articolazioni della società civile responsabile, ma anche del popolo, delle istituzioni tutte, delle Chiese e delle religioni, ispirato alle “quattro C”.
In questa lotta contro le mafie, qual è l’impegno delle Chiese?
Intanto dobbiamo dire che la Chiesa rispetto alla realtà mafiosa nel nostro Paese, ha avuto varie fasi: dal silenzio imbarazzante, alla compromissione tra uomini di Chiesa e boss mafiosi; da una fase nuova negli anni ’70 dove si tentava di svegliare le coscienze e scuotere l’opinione pubblica, ma si consideravano ancora le mafie come un male tra i tanti; agli anni ’80 laddove di fronte alla efferatezza e alla quantità di delitti, i Vescovi percepirono la gravità e la diversità mafiosa.
Oggi, tranne alcune lodevoli singolarità, registriamo atteggiamenti variegati: dalle colpevoli assenze all’indifferenza; dal minimalismo al negazionismo; da un approccio tradizionalista ad una ingenuità che sembra sconfinare nella complicità.
Ancora adesso, purtroppo, sentiamo dire: “Io mi occupo del Vangelo, la mafia non mi riguarda”. Ma è proprio il Vangelo a dire ai cristiani di non occuparsi di mafia, bensì di giustizia, pace, libertà, misericordia.
V’è un’incompatibilità tra l’essere cristiani e l’essere mafiosi!
Don Peppe Diana, ucciso dalla camorra in sagrestia (quasi a voler dire: Prete questo è il tuo posto!), nel suo documento “Per amore del mio popolo”, diceva:”…l’azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per un ministerialità di liberazione, di promozione umana e di servizio”.
Oggi manca un Piano Pastorale delle Chiese, delle religioni, per affrontare le sfide delle mafie che non sono solo un problema morale, dove la risposta non può essere semplicemente una bella raccomandazione da fare ai politici “comportatevi bene”, ma la rottura del collateralismo, l’impegno della denuncia, dell’annuncio, del coraggio, attribuendo alle mafie non solo un problema etico ma religioso che inquina l’evangelizzazione.
Una pastorale che individui gli strumenti della formazione spirituale e umana, della condanna, della conversione morale, dell’impegno civile, di una sistematica educazione alla cittadinanza, alla legalità, alla responsabilità, al bene comune come formazione permanente alla dottrina sociale e punto cruciale della catechesi e della evangelizzazione.
Una Chiesa che faccia la sua parte contro le mafie e agisca contro la mafiosità.
Questo è un dato ancora irrisolto e l’iniziativa del Collegamento Campano contro le camorre, come briciole di pane, vuole dare il suo contributo:
1)cammini di legalità in Campania: contribuire a promuovere un cammino ed un confronto dal basso con tutte le realtà di Chiese e le realtà religiose;
2)giornata per la legalità e lo sviluppo, in concomitanza del 21 marzo la giornata della memoria e dell’impegno, promuovere la riflessione e l’azione sul documento del Collegamento Campano;
3)rete ecumenica, religiosa, per una comunità libera dalle mafie;
4)elaborazione di schede per una pastorale sociale in chiave di lotta alle mafie.

E’ chiaro che questo cammino ha bisogno di Chiese che devono essere Aperte nel senso di un’abbraccio che vuole incoraggiare la convivialità delle differenze, come diceva Don Tonino Bello, l’inclusione dell’escluso, il dialogo con tutti e con tutte le dimensioni del sapere umano, l’impegno a non tirarsi mai indietro nella sfida per la giustizia e per la pace.
Insomma sostenere chi si adopera per un’apertura verso l’esterno, che guarda lontano, intrecciando carità e giustizia, intercultura e religioni in dialogo.
Con questa iniziativa noi vogliamo riconoscere, quindi, lo sforzo di quelle realtà di Chiese e religioni molteplici in dialogo pellegrinante, in una sorta di reciprocità tra le fedi in un cammino interreligioso.
Nell’ascolto reciproco, nel confronto critico, nel dialogo, ma soprattutto, per contribuire a tenere viva una sana disposizione all’interrogazione e ad alimentare ed accrescere le forme di un domandare.
In questo quadro, quale possibile cammino comune?

1)E’ possibile ed è necessario la scelta dell’Etica condivisa con le altre religioni, ma anche con la società e le culture contemporanee, non consumata nei conflitti ma vissuta nel riconoscimento reciproco per operare un confronto nella mitezza. Un’etica comune che, non ubbidendo alla logica dell’utilitarismo, vuole essere sempre al servizio dell’uomo e dell’umanità, diventare strumento di diritti inviolabili e non negoziabili, di valori transculturali, di percorsi di dignità e di giustizia per tutti;

2)Etica condivisa che trova il suo nodo nella centralità della persona (non come feticcio cattolico e/o dilemma ideologico, quasi se il tema appartenesse ad una
schiera), che può essere l’elemento di costruzione collettiva che parla a tutte le religioni e a tutte le culture.
C’è bisogno, allora, di compiere un passaggio intermedio: scambi, saperi, il coraggio di sentirsi inadeguato, parole, passaggi, sguardi, ospitalità, ed essere validi interlocutori, per mettere al centro la persona, crogiolo di molti itinerari.
Centralità che educa la persona stessa a queste tre coordinate:
• l’unicità che non un’unicità da mercato;
• la relazionalità;
• la profondità ossia la non riducibilità alla mera osservabilità;

3)lo spirito critico, la mediazione e le identità mobili.
Nell’ascoltarci a vicenda e imparare gli uni dagli altri, nella gratuità e nella reciprocità. Perché “imparare” e “amare” hanno un decisivo punto in comune: far spazio a qualcuno o a qualcosa dentro di sé…
Ciò diventa la vera forza per camminare insieme tra realtà religiose, territori e volti, pur conservando le specifiche appartenenze ma nutrendo le identità plurali.
4)Bisogno di pensare.
Imparare ad apprendere, a pensare con la propria testa e ad essere responsabili e corresponsabili. Ripristinare l’intelaiatura del pensiero per riappropriarci di noi stessi, per nutrire lo Spirito.
Non intendo semplicemente pensiero critico, ma piacere del pensiero, passione delle idee, erotismo della mente. Cercare molto duramente di farsi strada nel pensiero fino alla chiarezza. Correggersi, controllare, leggere, confrontarsi comunitariamente, organizzando, setacciando e non sommando i vari saperi, suggerendo così una “democrazia cognitiva”.

Ma non basta solo il dialogo per cercare di unire tutte le forze.
Preferisco parlare di filosofia dialogica dove gli interlocutori si sentono tutti protagonisti di quello che stanno costruendo. Parlo di un ethos dell’ascolto e della cooperazione cognitiva ed emotiva per entrare in contatto con l’altro, dove ogni persona è partecipe attivamente di una vicenda, dove possiamo insieme nel mutuo apprendimento, attraverso i nostri vissuti, i saperi, germogliare l’azione e il comune pensiero.

Allora tutti, ma proprio tutti, dobbiamo saper intrecciare la lotta contro le mafie, con la costruzione di una Comunità Nuova, in un progetto collettivo per dare un senso profondo, scopi veri, dignità al vivere quotidiano.
Parlo della comunità dell’Amore di Dio.
Ma in che modo costruire Comunità? Facendo alleanza con la fedeltà di Dio, ed essere testimoni credibili e attivi di un mondo nuovo dove non ci sia più “Fame e sete di giustizia”.
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